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Newsletter maggio 2020

Sul Covid-19, fin dalla sua manifestazione dichiarata in Cina, è già stato scritto tantissimo. Uno dei motivi principali di tanto inchiostro è il disperato umano tentativo di dare un senso a ciò che ci accade, di capirci qualcosa per rendere la situazione più sopportabile o superabile. Questo anche perché l’esperienza che stiamo vivendo è diversa dalle prove anche difficili avute fino a ora per le generazioni di questa epoca, soprattutto per il coinvolgimento planetario che la caratterizza. La dichiarata pandemia, i decreti, le normative di contenimento e le difficoltà economiche sono state e sono una sfida globale che è entrata prorompente in tutti gli ambiti culturali. L’informazione pubblica e non, le notizie e i comunicati particolarmente caratterizzati da ambiguità e doppiezza e accompagnati da comportamenti ipocriti sono entrati in modo sottile nel nostro sistema nervoso. Hanno costretto ognuno di noi a modificare improvvisamente le proprie abitudini, la propria quotidianità in nome di un’emergenza sanitaria che non ha ne chiarezza ne data di termine e che in breve tempo è diventata un’emergenza economica e sociale. 

È vero che la quarantena è l’unico modo per impedire il dilagarsi di una malattia facilmente trasmissibile. È una modalità di protezione e contenimento inventata a Venezia nel 14esimo secolo (il termine deriva infatti dal veneto quarantina) in maniera estremamente lungimirante per far si che le persone sulle navi, che non si sapeva se fossero o meno ammalate, fossero messe nei lazzaretti per 40 giorni. 1000 anni fa come oggi i virus seguono le vie del commercio solo che oggi vanno molto più veloci, come noi.

In Europa nella storia ci sono state varie ondate epidemiche dalle quali la civiltà si è sempre risollevata grazie all’isolamento temporaneo degli elementi contagiosi. Alcune ce le hanno raccontate Giovanni Boccaccio nel Decameron e Alessandro Manzoni nei Promessi Sposi.

Nessun dubbio sul fatto che questo virus sia pericoloso per la sua altra possibilità di trasmissione. Tuttavia, in una lettura puramente socio-antropologica mancando l’aspetto fondamentale di isolare solo gli individui malati o presunti tali, l’esperienza di limitazione di libertà di movimento che stiamo vivendo non è una quarantena, è altro. Le imposizioni ricevute dai nostri rappresentati a tutela e guida, per la modalità in cui si strutturano hanno preso la forma di una situazione sanitario-sociale-politica che ha anche le caratteristiche di un grande esperimento economico.

L’antropologia richiede l’osservazione dei dettagli nel tentativo di cogliere la grana sottile degli eventi che ci circondano, la documentazione e la descrizione che cercano di andare un po’ oltre ciò che i media possono offrire e senza entrare in campi che non le competono.

Inserendo anche l’Enneagramma in questa osservazione antropologica, in una crisi che tocca gli aspetti basilari della vita come la salute e i soldi, è inevitabilmente per tutti aumentata la pulsione alla conservazione di sé. L’attenzione si è spostata in modo massiccio su come accumulare, salvare o conservare risorse come cibo e denaro, sulla pulizia e l’igiene, sull’organizzazione dello spazio e dei ritmi quotidiani, sull’attenzione ai sintomi di salute o malattia o su chi è visto come una minaccia alla propria sopravvivenza.

Potrebbe sembrare buonsenso, in realtà questa è la manifestazione di uno schema naturale che fa parte del nostro cervello rettile, la parte di noi più animale e preistorica.

Chi ha familiarità con il mio lavoro conosce la mia enfasi sulle tre pulsioni della sopravvivenza: conservazione di sé, sessuale e sociale.

In breve, questo rientra nella teoria secondo cui nel nostro cervello ci sono aree destinate alla gestione della sopravvivenza e che ognuna di esse corrisponde a pulsioni connesse a bisogni fondamentali che portano a scegliere e comportarsi in modo tale da soddisfarli. Nell’Enneagramma sono chiamati Istinti e in associazione con i tipi definiscono le 27 Varianti Istintive.

– L’istinto di Conservazione di sé riguarda le esigenze relative alla propria sopravvivenza, risorse, ritmi quotidiani, salute e agio.

– L’istinto Sessuale/Attrazione riguarda le esigenze relative alla stimolazione, al rischio, alla risonanza energetica, l’esplorazione.

– L’istinto Sociale/Adattamento riguarda le esigenze relative al ruolo, la comunicazione, le affiliazioni, l’inclusione, la partecipazione.

In tempi ordinari ognuno di noi ha una propensione verso una di queste pulsioni, nell’Enneagramma chiamata Istinto dominante. In pratica, le esigenze di quella pulsione di sopravvivenza sono credute e vissute come intrinsecamente molto più importanti e interessanti rispetto alle altre due. Agisce come un pregiudizio, motiva il nostro sistema di valori, le nostre scelte e i nostri comportamenti abituali per soddisfarli. La nostra dominante istintiva è tendenzialmente costante, tuttavia in situazioni di crisi o in periodi con difficoltà non ordinarie in cui altri bisogni sono minacciati, anche pulsioni istintive meno familiari possono manifestarsi in modo evidente.

La parte di noi più primitiva è sempre molto attiva e in questi mesi è molto chiaro. Uno degli aspetti che mi interessa sottolineare è che come viviamo, percepiamo e agiamo le nostre pulsioni di sopravvivenza è il termometro del nostro livello di consapevolezza. È inevitabile che in questo periodo l’istinto di Conservazione di sé sia particolarmente stimolato. Al contempo quanto ne diventiamo ossessionati o negligenti è ciò che fa la differenza nella qualità quotidiana della nostre vite.
Quando una pulsione prende prepotentemente il sopravvento anche le altre due ne soffrono e tendono ad esprimersi in modo squilibrato. Lo riconosciamo nella percezione del pericolo dell’altro, nella stigmatizzazione etica, nel senso di territorialità, nelle aggressive provocazioni teoriche e ideologiche, nella selezione per l’accesso alle terapie intensive, nelle diseguaglianze sociali. 

Farsi paura e aver paura è un riflesso classico delle situazioni di emergenza in cui l’aspetto che violentemente prende l’attenzione totale della nostra consapevolezza è la sopravvivenza individuale. A seconda di quale istinto abitualmente è il nostro dominante, inizialmente per esorcizzare o gestire la paura ci si chiude in casa, si canta e si suona, si infrangono i divieti, ci si aggrappa all’idea di un futuro in cui andrà tutto bene, si immagina cosa può andare ancora peggio per evitarlo, ci si occupa della paura degli altri, si diventa drogati da lavoro, ci si isola ancora di più, si cerca il colpevole, si diventa bulimici di condivisione di informazioni a riguardo del pericolo da qualsiasi fonte – l’infopandemia in corso.

Tra le varie spiegazioni fornite, una particolarmente acclamata è quella del bioterrorismo. Pensare che le cose siano da ricondurre a un atto doloso è un desiderio antropocentrico tipico, nonostante la grande maggioranza dei rischi che viviamo sono incidentali o naturali. Eppure in realtà anche quando l’essere umano ne è coinvolto, spesso non è per dolo.
Si assiste a deliri di opinione e sono stimolate forti posizioni morali verso chi esce in modo apparentemente indebito, in modo che se le cose vanno male la colpa è della massa che non ha rispettato le regole. È riconoscibile un atteggiamento quasi magico-stegonico persino verso i contagiati, che sono vittime, ma al tempo stesso colpevoli di aver sottovalutato il rischio e forse di aver così contagiato altri.

Questa “carica morale” attribuita al rischio non è un effetto secondario di una cattiva comunicazione o di una comunicazione che intende criminalizzare i cittadini: è un meccanismo che l’antropologia e la storia culturale conoscono bene e che possono dunque contribuire a comprendere un po’ meglio in quale dinamica sistemica ci troviamo. Vaghe notizie stampa hanno parlato di forme di creatività culturale che hanno tentato di surrogare l’assenza di riti funebri per chi è morto in questo periodo nei reparti di rianimazione e mi immagino l’apparizione di necessarie forme di cordoglio ritualizzato alternative.

Tutte queste reazioni sono inevitabili, siamo umani. La distanza fisica è dolorosa non solo emotivamente, è molto dolorosa anche per il corpo e per la mente. Quello che ci rende ancora più umani è accettare di esserlo e prenderci la responsabilità delle nostre umane reazioni per avere la libertà e il coraggio di evitare di alimentarle e protrarle. Più conosciamo come queste energie funzionano in noi, meno ne siamo schiavi e più abbiamo la scelta di nutrirne l’aspetto buono per il nostro benessere.

Per alcuni la situazione in corso porta a interrogarsi sulla connessione tra la sua origine e diffusione e i modelli di sviluppo e stili di vita occidentali contemporanei. Per altri questa è un’occasione per riscoprire se stessi e la propria umanità, per riconoscere la propria reattività e i propri meccanismi mentali e sensoriali, per essere con il proprio dio senza intercessioni, per non chiudere gli occhi davanti agli specchi che foderano i muri della propria casa, per ristabilire le priorità, per riscoprire il senso di cura di sé, per ristabilire legami o crearne di nuovi.

È molto importante che tutte le risorse possibili ci siano di sostegno. È importante sostenere l’equilibrio fisico nelle inevitabili pulsioni, avere cura del nostro sistema nervoso con tutti i mezzi che abbiamo. Rimaniamo fluidi in questo divenire.

Mi auguro di incontrarvi oltre lo schermo, in questa modalità di incontro che ha superato i limiti geografici.

Maura Amelia Bonanno