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Newsletter agosto 2023

C’è una passione in me che non ha brama di nulla da un altro essere umano.
Mi è stato dato qualcos’altro, un copricapo da indossare in entrambi i mondi.
È caduto. Non importa.
Una mattina andai in un posto oltre l’alba.
Una fonte di dolcezza che scorre e non è mai carente.
Mi è stata mostrata una bellezza che confonderebbe entrambi i mondi.
Ma non causerò quel tumulto.
Sono nient’altro che una testa appoggiata a terra come regalo a Shams*.
Mezzanotte, ma la tua fronte brilla con l’alba.
Balli mentre vieni da me e ricciolo dopo ricciolo disfi il buio.
Lascia che la gelosia finisca.
C’è una strana frenesia nella mia testa, di uccelli che volano, ogni particella circola per proprio conto.
È colui che amo ovunque?

*Al-Sham or Shām (شام), è il nome storico della grande regione Siriana, ancora oggi utilizzato nelle confraternite Sufi della zona.

 

Questa splendida poesia di Jalāl al-Dīn Muḥammad Rūmī, poeta persiano vissuto nel 1200 si intitola “Un copricapo da indossare in entrambi i mondi”.
Mi è tornata alla mente quando qualche giorno fa un amico interessato ad avvicinarsi sia all’Enneagramma sia alla meditazione Vipassana mi ha chiesto: “come si sposa la teoria della Vipassana che afferma tutto è onde e non esiste un io con quella del Enneagramma in cui c’è un io originario perduto che ricerchiamo per tutta la vita?”
Voglio accogliere questa domanda, consapevole di quanto il discorso sia complesso e ricco di sfaccettature e della difficoltà a farlo teoricamente e in poche righe. Quindi mi limito a offrire uno spunto di riflessione riguardo a come la reale, coerente e armonica integrazione delle vie e la comprensione profonda di tale integrazione sopraggiunge con la consapevolezza che soltanto la pratica può offrire.

Quando la mappa dell’Enneagramma parla di un io originario perduto, si riferisce all’esperienza illusoria del tipo, alla situazione della macchina.
Quando la Vipassana parla della non esistenza di un “io”  si riferisce alla pura coscienza. Sono quindi due dimensioni di realtà non paragonabili.

L’Enneagramma parla di qualità dell’esperienza per cui si è particolarmente sensibili, per le quali si ha un forte attaccamento al punto da convincersi che quelle qualità sono “io” e che sono “io” solo con quelle qualità. Il tipo dell’Enneagramma è l’insieme di schemi interiori che cercano di fabbricare e riprodurre tali qualità dell’esperienza, quell’io originario che si crede perduto.
Tuttavia tali qualità sono impersonali, non fabbricabili con la volontà individuale e si manifestano quando siamo liberi dalla macchina che vuole produrli. Meno se ne ha esperienza diretta, più forti sono l’avidità per la loro imitazione e l’avversione per ciò che sembra minacciarla.

Il Lavoro proposto da Gurdjieff ha tantissime analogie con il Buddismo, da cui chiaramente si ispira.
Il ricordo di sé di cui parlava Gurdjieff è un’opera di liberazione dalla macchina, di purificazione, proprio come la pratica Vipassana. Nella Quarta Via troviamo come nella pratica Vipassana l’allenamento del pensiero volontario a rimanere su qualcosa, l’iniziare con alcuni aspetti della persona e poi piano piano includere altri, lo scopo di generare apertura per poter ricevere la forza, un’energia non personale, il lavoro sull’immagine di sé, sull’identificazione nel mi piace / non mi piace. La nostra identificazione è molto più con il corpo e con la mente che con il sentimento e ciò che chiamiamo emozione è prodotto della dimensione immaginativa.

Il Buddismo è la via della purificazione della mente che conduce alla sua padronanza. Durante l’attenzione al respiro e alle sensazioni del corpo della pratica Vipassana diventiamo consapevoli degli oggetti della nostra avidità e della nostra avversione. In quei movimenti interiori è possibile notare l’agire del tipo, della macchina. Nella portata dell’avidità per le qualità idealizzate e dell’avversione per ciò che le minaccia e che mette a repentaglio l’immagine che abbiamo di noi stessi, nella potenza sensoriale della pulsione dell’istinto, nello schema della distorsione cognitiva che è alla radice del tipo. Questo purifica e crea spazio alla coscienza senza nome, senza “io”.

Lo Yoga Sutra afferma che l’Io è illusione e la realizzazione è quella del vuoto. Lo yoga è annullamento del pensiero, andare alla sua origine fino alla sua caduta, indicando quali sono i pensieri malsani e inquinanti. Il mentale inquinato impedisce veri pensieri e lo stesso vale per gli altri due centri. Il Buddha risponde sempre in modo razionale, quindi gli elementi psichici permangono, i flussi di coscienza ci sono, ma sono puliti. Non è forse quello il Ricordo di sé? Non è forse quello lo spazio in cui la ‘forza’ può fluire?

Si può tuttavia notare una differenza tra l’approccio all’attenzione al respiro e alle sensazioni nella Vipassana e in Gurdjieff. La prima invita a tornare sempre al respiro, ma siccome l’osservazione del respiro senza fare nulla e senza cambiarlo è difficile, Gurdjieff invita a lasciare essere il pensiero e la sensazione, a osservarli. Nel Lavoro, l’osservazione fa si che si torni al respiro naturalmente, senza volontà ne contrasto ed evita il rischio di farsi fagocitare dall’oggetto pensiero o sensazione.

Fondamentalmente la disciplina da cui maggiormente entrambi si discostano è la psicanalisi.
Nel Lavoro di Gurdjieff come nel Buddismo il miglioramento dello psichico è una trappola, è fare, è macchina, mentre è necessario andare all’origine del pensiero per conoscere la macchina-automatismo senza avere aspettative di ottenimento o scopi.

Sappiamo che l’Enneagramma è una buona mappa, ma è solo una mappa, quindi ha necessità di metodi per essere applicata nella vita quotidiana, di pratiche che possano rendere la teoria un’esperienza diretta.
Se rimane solo una teoria è nella migliore delle ipotesi un divertente intrattenimento e mezzo per socializzare. Nella maggior parte dei casi l’Enneagramma teorico è un modo per illudersi di essere su un percorso di liberazione, un riempire il proprio sistema di sempre più attaccamenti invece di disintossicarsene, un rafforzare la prigione di schemi limitanti invece di lavorare per liberarsene, un mezzo per soddisfare scopi personali, dimenticando che la liberazione non è per se stessi, ma per la terra.

I metodi per lavorare con l’Enneagramma che conosco e ho sperimentato e che quindi mi sento di proporre coinvolgono i tre centri, sia in modo indipendente, sia in modo integrato e armonico.
Ma non importa quale via o quali vie abbiamo scelto, se sono vie di moralità che rendono consapevoli dei propri schemi interiori e aprono a uno spazio interiore libero da tali schemi, a uno spazio di amore compassione e benevolenza che segue le leggi di natura. Se sono vie sostenute da una forte tradizione e non sono mischiate, bensì praticate per un sufficiente tempo ognuna con le proprie regole oppure adeguatamente integrate, inevitabilmente conducono a quello spazio interiore verso cui tutte tendono e anche i modi in cui possono sostenersi diventa comprensibile nel corpo e nella quotidianità.

La consapevolezza accade solo quando tutto il nostro essere è coinvolto. Smaschera la macchina e al contempo sostiene l’esperienza della ‘forza’, permette di indossare un copricapo per vivere in due mondi, per essere nel mondo ma non del mondo, per essere nel mondo e contemporaneamente nel ‘Io sono’.

Maura Amelia Bonanno