A volte, quando mi è stato chiesto a cosa serva l’Enneagramma, praticamente e in poche parole, da parte di qualcuno che non ne ha mai sentito parlare e che non ha ancora intrapreso un percorso di crescita, mi è capitato di rispondere: “aiuta in ambito relazionale, migliora le relazioni”. Una risposta che oltre a essere estremamente sommaria, un po’ tradisce l’essenza del lavoro.
Un po’, perché è parzialmente fuorviante. È vero che le relazioni migliorano, ma a condizione di mettere in discussione la nostra idea su di esse e sul miglioramento in generale.
Un po’, perché tralascia di specificare che la relazione principale su cui il lavoro con l’Enneagramma agisce è quella con se stessi.
Un po’, perché relazioni e amore sono per la grandissima maggioranza degli esseri umani vissute come un tutt’uno, quando in realtà sono due livelli di esperienza differenti.
Tutti abbiamo un’immagine più o meno idealistica delle relazioni rispetto alla quale questo lavoro potrebbe essere inizialmente peggiorativo. Le relazioni evidenziano in modo ineluttabile i nostri automatismi e meccanismi mentali, emotivi e istintivi. Mi sento di affermare che qualsiasi relazione – intima, di amicizia, lavorativa, con gli animali, gli oggetti, i progetti, la vita – ha principalmente lo scopo di permetterci di riconoscere i nostri schemi interpretativi e reattivi, le nostre convinzioni, le nostre dinamiche interiori. Mi rendo conto che non è una visione moto romantica. Ma quando le riconosciamo e ci impegniamo per trasformarle, permettiamo l’aprirsi di uno spazio che ritengo molto più soddisfacente, bello e gioioso di qualsiasi languido sentimento o focosa passione: l’amore.
Questo significa che non è importante con quale tipo ci relazioniamo, ma la qualità di consapevolezza che portiamo nella relazione. L’Enneagramma non si occupa delle combinazioni di tipi possibili, né predice come i tipi vanno d’accordo l’uno con l’altro. Perché con chiunque possiamo andare o non andare d’accordo fino a un certo punto, con chiunque possiamo essere in relazione senza alcuna connessione.
L’Enneagramma non riguarda neanche l’imparare a cambiare gli altri, bensì, appunto, la propria trasformazione. Ci aiuta a riconoscere la particolare strategia che ci impedisce di essere disponibili all’amore. Fa spazio a una qualità di coscienza oltre le strategie, le manipolazioni e le paure. Ci permette di imparare a vedere i nostri amati per chi sono, non per ciò che cerchiamo di farli essere sulla base della nostra storia e vissuto. Le relazioni diventano un’avventura senza fine, non qualcosa che cerchiamo disperatamente di far funzionare per noi, per i nostri spesso inconsci motivi egoici o per gli occhi degli altri.
L’Enneagramma richiama la nostra attenzione quegli aspetti della nostra personalità che ci addormentano e allontanano da ciò che è più prezioso, cui siamo normalmente ciechi. Sostiene la capacità di essere con la realtà del momento – non con l’interpretazione che ne diamo o la reattività – libera da condizionamenti di relazioni passate e da proiezioni nel futuro.
Quando per esempio nel nostro punto Nove crediamo che una relazione funzioni solo in assenza di attrito e conflitti, quando vogliamo che nulla disturbi o metta in discussione il nostro modo di vivere e le nostre abitudini, succede che ci disimpegniamo dalla relazione, che taciamo i nostri sentimenti e pensieri o che concordiamo con ciò che l’altro vuole far per evitare attriti. Comprendere che questo costruisce una finta pace che mai potrà soddisfarci davvero, che è un’illusione e una imitazione lontana dall’armonia cui aneliamo, iniziare a sentire la mole di energia interiore che utilizziamo per mantenere le cose come sono, imparare a gestire il proprio conflitto interiore, onorare il proprio esistere e mettere sani confini distrugge quell’illusione. Dal punto di osservazione dell’idealizzazione della relazione, le frizioni con l’altro che possono sorgere dal nostro cambiamento sono giudicate peggiorative. Ma lungo il percorso nel frattempo abbiamo anche compreso che la frizione è necessaria all’alchimia che permette una pace reale. Atterra in noi la disponibilità a svegliarci dal torpore, a essere onesti con noi stessi e accogliere l’intensità della rabbia come energia di cambiamento verso ciò che è buono.
Oppure quando per esempio nel nostro punto Tre siamo convinti che una relazione funzioni quando riceviamo dichiarata ammirazione costante, quando vogliamo che l’altro veda solo la nostra parte migliore, succede che ci adattiamo a diventare ciò che ci procura convalide di valore, che ci sforziamo di essere i migliori in ciò che è importante per gli altri, che ci esibiamo e recitiamo un ruolo per mantenere un’immagine positiva. Comprendere che questo costruisce un finto senso di valere che mai potrà soddisfarci davvero, che è un’illusione e una imitazione lontana dalla preziosità cui aneliamo, iniziare a contattare le emozioni, permetterci di fermarci per ascoltarci, imparare a riconoscere e gestire la propria ansia, vedere valore in tutti gli esseri, distrugge quell’illusione. Dal punto di osservazione dell’idealizzazione della relazione, mostrare all’altro la parte di noi stessi che consideriamo negativa e rischiare di perdere stima è giudicato peggiorativo. Ma lungo il percorso nel frattempo abbiamo anche compreso che la preziosità intrinseca è nell’essere, non in ciò che facciamo. Atterra in noi la disponibilità ad accogliere ciò che realmente sta ci accadendo intimamente, ad ascoltare e onorare chi siamo e come siamo, il coraggio di essere onesti con noi stessi e con l’altro.
Oppure quando per esempio nel nostro punto Sei siamo persuasi che una relazione debba offrire certezze, quando vogliamo che l’altro ci dimostri che possiamo fidarci, succede che diventiamo dipendenti dall’altro, che possiamo rimanere intrappolati dentro alla relazione, che dubitiamo di qualsiasi cosa e che tutto può essere una minaccia alla fiducia e alla stabilità interiore. Comprendere che questo costruisce una finta sicurezza che mai potrà soddisfarci davvero, che è un’illusione e una imitazione lontana dal senso di sicurezza cui aneliamo, iniziare a lasciar andare la tensione, imparare a quietare la mente, riconoscere il proprio sostegno interiore e quello che già abbiamo dalla vita, distrugge quell’illusione. Dal punto di vista dell’idealizzazione della relazione, l’incertezza e la mancanza di sicurezze evidenti sono giudicate peggiorative. Ma lungo il percorso nel frattempo abbiamo anche compreso che la solidità è interiore risiede nella quiete della mente e del cuore. Atterra in noi la disponibilità a sostare al centro della propria esperienza, a vivere nell’indeterminatezza, ad accogliere il silenzio interiore come il luogo più sicuro del mondo.
Nel lavoro di conoscenza di sé, la relazione con se stessi si trasforma, a un certo punto non ci riconosciamo più. L’immagine abituale storica che abbiamo di noi stessi si sgretola, l’idea di noi stessi muta, la visione del mondo cambia prospettiva. Illuminiamo la macchina, ci accorgiamo dei nostri automatismi, contattiamo le limitazioni, e questo semplice cambio si coscienza fa spazio a una gamma di esperienze interiori più vasta, a maggiore possibilità di scelta riguardo al nostro agire nel mondo. La versione fissa di chi siamo è sostituita da un senso di noi stessi in divenire,
Più conosciamo noi stessi, più scopriamo che l’amore è qualcosa di molto più grande della relazione. Non solo comprendiamo l’altro, ma lo amiamo, sia che decidiamo di essere in una relazione, sia che decidiamo di non essere in una relazione. Quando l’amore ci tocca può anche accadere che la relazione inizi a svilupparsi su un altro piano e a un altro livello, oppure può accadere che le questioni esclusivamente sentimentali, passionali o materiali perdano attrattiva. Succede che la relazione non è più basata su ciò che si riceve, bensì su ciò che si offre, che la serenità, la sicurezza e il proprio valore non dipendono esclusivamente da ciò che l’altro ci dà o da ciò che l’altro di noi accoglie o rifiuta.
Vedo tantissimo dolore nelle relazioni, spesso silente, non importa di che tipo siamo. A volte è necessario toccare il fondo per avere voglia di risalire, arrivare al limite della sofferenza per sentire la spinta a trasformarla e attivarsi seriamente in quella direzione. Per me è stato così. A volte invece non basta neanche quello, a volte neanche la violenza è abbastanza.
Credo che se vogliamo esplorare le relazioni, è necessario coinvolgere sia gli aspetti meccanici sia la dimensione spirituale. Senza entrambi non possiamo avere relazioni che abbiano senso. Se non sono aperto con me stesso, come potrò esserlo con l’altro? Come posso avere un reale contatto con l’altro, esserci, se non sono qui?
Tutti abbiamo un punto Nove che si sente tagliato fuori, che si disimpegna e si ritira nel proprio mondo in cerca di pace, che con una rabbia nascosta anche a se stesso è convinto di doversi accontentare perché che non potrà mai avere ciò che desidera. Tutti abbiamo un punto Sei che si sente perso e impreparato per questo mondo sconclusionato, che si aggrappa disperatamente a qualcosa o qualcuno che possa placare l’ansia, che è convinto di non potersi fidare di nessuno e che tutto ha un prezzo. Tutti abbiamo un punto Tre che teme di essere un perdente e un fallito, che si sconnette emotivamente e recita un ruolo per mantenere una facciata brillante, che compete aggressivamente, sgomita e cerca di convincere il mondo del proprio valore.
Alla domanda “A cosa serve l’Enneagramma?” quindi oggi potrei rispondere: “A svegliarsi e coltivare presenza”.
Maura Amelia Bonanno