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Newsletter giugno 2025

Tra i temi più caldi che mi sono trovata più spesso a esplorare nella mia vita, c’è quello dei confini. Inizialmente per sopravvivenza, per gestire esperienze personali che avevano pesantemente distorto la mia percezione a riguardo. Poi, nel tempo, è maturato in me un interesse particolare per i momenti di confine. Credo che siano tra quelli maggiormente presenti nella quotidianità individuale, sociale e collettiva.

Individualmente, possiamo riconoscere di esistere come organismi, in un corpo che vive grazie a relazioni cellulari complesse e della presenza di un continuo movimento interiore tra le nostre emozioni, sensazioni e pensieri in relazione tra loro. Quando pensiamo ai confini, in automatico l’attenzione va alla dinamica di relazione con gli altri, dimenticandoci di quelle che accadono dentro di noi. 

Anche solo considerando questo, quanto siamo coscienti dei confini interiori tra queste manifestazioni? Quanto ci rendiamo conto di quando i pensieri invadono le emozioni, o le pulsioni invadono i pensieri? Quanto interesse abbiamo a conoscere e onorare le dinamiche dei nostri confini interiori in modo da relazionarci con lo stesso rispetto anche con gli altri e con l’ambiente? In che modo siamo informati da confini interiori in armonia con la forza vitale, che sostengono la vita, la libertà, la serenità e la gioia? Tutti viviamo la maggior parte della nostra vita schiavi del condizionamento interiore riguardo ai confini. L’Enneagramma ce lo spiega molto bene e i Livelli di Sviluppo ci descrivono cosa accade a diversi gradi di schiavitù e libertà da questi specifici condizionamenti.

Socialmente possiamo riconoscere di esistere grazie alla costante relazione con l’ambiente e con le creature che ci circondano. Anche a questo livello c’è un ininterrotto movimento di interconnessioni complesse in cui il senso del confine è onnipresente. Tutti facciamo esperienza dei condizionamenti culturali della società in cui viviamo riguardo ai confini. L’aspetto sociale per certi versi è quasi più difficile da riconoscere perché tocca la profonda paura della sopravvivenza.
Anche se non condividiamo i principi culturali della società in cui viviamo, ci adeguiamo a essi per sopravvivenza. Pensiamo alla quantità di situazioni che accettiamo e che non solo per integrità personale, ma anche per il bene della vita di tutti gli esseri sarebbero da rifiutare. Dal semplice accettare di partecipare a una cena perché sta male declinare l’invito, alla schifezza di accettare una violenza per non essere licenziati. Pensiamo alla quantità di situazioni che rifiutiamo pur essendo molto buone per noi e per tutti. Dal semplice declinare un aiuto perché siamo convinti di dovercela fare da soli al pericoloso girarsi dall’altra parte di fronte a una richiesta di aiuto. Ci troviamo ogni istante a scegliere più o meno coscientemente se alzare muri o eliminarli ed entrambe queste scelte sono generalmente dolorose.

Collettivamente credo non siano necessarie parole per riconoscere l’orrore che sta occorrendo su questo pianeta in nome di confini disumani e deliranti.

Se guardiamo la mappa dell’Enneagramma, a una prima lettura i confini sono espressi dal Centro delle viscere. La qualità di immediatezza sensoriale di questo Centro si attua nel momento, riconosce esattamente cosa sta accadendo adesso, permette di essere presenti alle risorse individuali tra cui, appunto, i limiti.

Da questa prospettiva, la presenza nel fluire organico nel corpo è l’unica possibilità di avere chiarezza dei confini. Non a caso Gurdjieff affermava che ciò che non possiamo trovare nel corpo, non lo possiamo trovare da nessun altra parte, che le tensioni sono il primo ostacolo al fluire della Forza e il suo Lavoro era quindi principalmente corporeo.

Sia i confini difensivi, sia l’assenza di confini, sono basati su tensioni, sullo spegnimento della coscienza cenestesica. Quando il Centro delle viscere è disarmonico ci sentiamo spenti, stagnanti o bloccati, deboli, affaticati o intontiti, impotenti. Tutti i tipi sconnessi da questo centro perdono il senso di confine interiore ed esteriore, ma reagiscono in modi diversi a questa esperienza.

Tipicamente i tipi Nove, Cinque e Quattro a Livello di Sviluppo medio e basso si arrendono alla propria immaginazione e diventano altamente disimpegnati. Tipicamente i tipi Sei, Due e Uno a Livello di Sviluppo medio e basso eliminano se stessi e diventano altamente condiscendenti al proprio critico interiore e alle aspettative. Tipicamente i tipi Otto, Sette e Tre a Livello di Sviluppo medio e basso prendono spazio e diventano altamente sfacciati per provocare impatto e reazioni.

Come ulteriore reazione a questa dinamica tutti i tipi hanno poi bisogno di alzare confini difensivi anche quando non c’è alcuna necessità, nessuna reale minaccia.

Questo tipo di confine ordinario è una forma di resistenza a ciò che ci sta accadendo dentro. Ci dà un falso senso di forza, ci separa da noi stessi e dagli altri e impedisce di rispondere in modo adeguato. All’interno di questi confini troppo rigidi o assenti non siamo né disponibili, né raggiungibili e utilizziamo le nostre posizioni e opinioni per aggredire attivamente o passivamente, per controllare e manipolare.

Se guardiamo al corpo, a una prima lettura è la pelle a essere spesso in psicologia definita il confine primario, ciò che differenzia il sé dall’altro a livello più profondo, i confini dell’organismo fisico che chiamo me. I confini in psicologia non sono qualcosa di solido e impenetrabile, ma riguardano piuttosto la consapevolezza di ciò che è sé, di ciò che è altro e della qualità della relazione tra essi.

Nella prospettiva della ricerca di Movimento somatico, in particolare dell’approccio Body-Mind Centering®, non solo la pelle, ma anche la membrana cellulare è un confine primario, poiché alle origini più remote dell’identità embrionale è il nostro primo contenimento e definizione. Poi, con lo sviluppo, evolvono anche i confini delle membrane dei tessuti e dei diversi sistemi corporei. Fisiologicamente, questi confini sono membrane semipermeabili e rispondenti, luoghi di incontro, comunicazione e trasformazione. A livello della membrana, i mondi si incontrano e interagiscono. Nuove comprensioni e consapevolezza emergono portando coscienza alla membrana.

È per me ogni volta sorprendente la precisione delle informazioni che sono rivelate quando una persona porta coscienza agli strati della propria pelle e delle membrane cellulari. Incarnare queste membrane può rivelare la condizione dei confini psicologici nei minimi dettagli e a volte conduce a sottili ma importanti trasformazioni interiori, mentre cellule e tessuti rispondono all’attenzione e all’intenzione che vengono focalizzate su di essi.

Quando nella pratica di Movimento Somatico osservo e ascolto ciò che accade nella cellula, e poi vedo le sue strutture e i suoi processi vitali riflessi nell’organismo nel suo complesso, la mia attenzione si allarga al macrocosmo del corpo planetario e a come anche questo rifletta i processi interni, l’ecologia profonda della cellula e dell’organismo. E mentre ascolto la coscienza della pelle e delle membrane cellulari penso alle difficoltà che come individui sperimentiamo nel tentativo di proteggere e mantenere armoniosi i nostri confini mentali ed emotivi, riconosco che ciò che impariamo dalle nostre esperienze individuali ha un potente impatto e molta rilevanza sul corpo collettivo e sulle difficoltà schiaccianti del nostro mondo odierno.

La sofferenza può essere trasformata, lo sappiamo attraverso il lavoro che svolgiamo. E trovare dentro di sé il senso di confini rispettosi è possibile, se lo si vuole. Cercare un nemico esterno o un capro espiatorio è più facile, più familiare. Affrontare i nostri mostri interiori, incarnare quelle parti oscure di noi stessi che possono contenere sentimenti intollerabili è una sfida che non tutti vogliono affrontare. Di fronte all’allucinante portata di sofferenza e conflitto nel mondo, a volte è difficile credere che cercare di assumersi la responsabilità della propria parte sia utile. Che fare spazio a confini amorevoli con se stessi e con gli altri, trasformare i propri dolori personali in compassione e gioia, possa aiutare.

Eppure credo che questo è il cammino da percorrere, a volte l’unico che possiamo scegliere di fronte a forze troppo più grandi di noi.