Skip links

Newsletter febbraio 2018

Da qualche parte ho letto che i litigi sono comunicazioni mancate e chiunque lo abbia scritto mi trova concorde. Ricordo che quando ero bambina mia nonna ogni tanto saltava fuori con il suo “Non ho mica la palla di vetro!” per farmi capire quanto fosse importante essere chiari, espliciti, cristallini nelle interazioni e nella comunicazione. Con gli anni ho apprezzato molto questo suo insegnamento e ho compreso che uno dei gesti più utili e amorevoli che possiamo fare è evitare di mettere l’altro nella condizione di tirare a indovinare cosa vogliamo, ipotizzare cosa pensiamo e interpretare a piacere i nostri sentimenti. Comunicare, dal latino mettere in comune e far partecipe è un gesto d’amore opposto di dividere e separare. Nella vita privata in modo particolare, ma anche nei rapporti di lavoro, i silenzi, il non detto, i sottintesi, il “dovrebbe immaginare che”, “potrebbe arrivarci da solo”, il “leggere fra le righe” e i doppi sensi sono l’anti relazione, la terra fertile del conflitto, generano e alimentano rapporti pessimi e destinati a naufragare.

Inutile sottolineare che prima di comunicare sarebbe utile sapere cosa e perché e ciò implica un’intenzione e un impegno – indipendenti dal tipo di personalità – a conoscere se stessi e le proprie motivazioni. Tanto quanto il conflitto con l’altro è mancanza di comunicazione con l’altro, così il conflitto interiore è mancanza di comunicazione in noi stessi, enneagrammaticamente parlando quando cuore, testa e pancia sono vissuti separatamente e ne prediligiamo uno o ne escludiamo uno o li confondiamo. Pur essendo vero che alcuni tipi sono più “portati” all’introspezione, questa sensibilità non necessariamente corrisponde a un reale e onesto impegno. Così come ci sono tipi meno inclini all’introspezione che accettano l’invito delle vicissitudini della vita a guardarsi dentro con onestà. Rimane un mistero che alcuni esseri umani sono trasformati dalle proprie esperienze e altri no. Quindi circa il “cosa”, circa il desiderio, l’intenzione, l’impegno al Lavoro di liberazione dalla propria prigione non ci sono regole e prevedibilità: di qualsiasi tipo siamo, dobbiamo averne voglia.
Invece circa il “come” comunichiamo verbalmente e non verbalmente entrano in ballo i sistemi di conoscenza di sé come l’Enneagramma che ci indicano dove guardare quando la scintilla del Lavoro si accende e vogliamo migliorare il nostro modo e il nostro mondo. L’Enneagramma identifica i punti ciechi e i filtri alteranti – su cui tornerò un’altra volta – nella comunicazione dei nove tipi. I seguenti punti ciechi nella comunicazione verbale sono aspetti molto generali che tuttavia in quanto punti ciechi difficilmente riusciamo a riconoscere in noi stessi fino a quando iniziamo a farci attenzione.

Se sono un tipo Uno quando comunico voglio miglioramento e giuste informazioni e rischio di voler elevare l’altro, fare proselitismo, predicare, insegnare ed educare anche quando l’altro non lo desidera. Non mi rendo conto di quanto posso sembrare critico, impaziente o arrabbiato anche quando a me sembra di non farlo passare e di quanto posso diventare rigido quando mi ostino circa le mie opinioni nella convinzione illusoria che siano le uniche giuste.

Se sono un tipo Due quando comunico voglio connessione, divento seducente e parecchio espansivo e spesso dietro alla mia dichiarata gentilezza, generosità, disponibilità e attenzione giace un’intenzione nascosta e una motivazione a ottenere qualcosa dall’altro che neppure io mi rendo conto di avere. Rischio di essere gentile e amichevole fuori mentre sono rigido dentro, di diventare invadente e appiccicoso e di interessarmi e disinteressarmi dell’altro molto rapidamente. 

Se sono un tipo Tre quando comunico voglio motivare e tendo a promuovere me stesso, rischio di vantarmi ed evitare di parlare dei miei fallimenti e apparire esaltato, di cambiare messaggio secondo l’interlocutore e lo scopo o far credere di sapere di più di quello che so e arrivare come disonesto, non mi rendo conto che divento impaziente quando percepisco l’altro come incapace, che posso arrivare come brusco perché sembro attaccare o ignorare l’altro. 

Se sono un tipo Quattro quando comunico voglio accettazione e tendo ad avere un’attitudine auto-referenziale, a prendere le cose in modo personale, a riportare la conversazione a me. Rischio di eccedere con la lamentela e con il pettegolezzo e non mi rendo conto che ho bisogno di portare a termine una conversazione anche quando l’altro non lo vuole e che nella mia intensità e iper sensibilità posso apparire eccessivamente drammatico o ricercato.

Se sono un tipo Cinque quando comunico voglio chiarezza e verità e rischio di pormi come se facessi una dissertazione, di dire troppo e perdere l’ascolto dell’altro oppure di usare poche parole e quindi non essere capito. Non mi rendo conto che quando non esprimo calore appaio freddo e distante e posso sembrare altezzoso o snob e che quando divento impaziente perché l’altro non comprende velocemente come vorrei posso arrivare come brusco e arrogante.

Se sono un tipo Sei quando comunico voglio certezze e non mi rendo conto che la mia preoccupazione si percepisce anche se cerco di mascherala, che il dubbio su di me e l’attitudine al sospetto può portare gli altri a vedermi ambiguo e dubitare di me, che le mie ipotesi negative arrivano all’altro come pessimismo e attitudine al “non posso farcela”. Rischio di passare dall’essere divertente, accogliente e impegnato a essere ribelle, provocatorio e tagliente.

Se sono un tipo Sette quando comunico voglio provare piacere e tendo ad ascoltare in modo superficiale convinto di sapere già cosa l’altro dirà oppure di avere compreso informazioni e avere una conoscenza che che non ho. Rischio di essere troppo veloce, distratto e dispersivo, cambiare costantemente idee e argomento, cercare di essere divertente raccontando storie e non vedere che questo confonde gli altri e li porta a non prendermi sul serio.

Se sono un tipo Otto quando comunico voglio impatto e non mi rendo conto che intimidisco facilmente e che anche quando mi trattengo la mia energia è molto forte, diretta e incisiva. Dimentico che non tutti sono capaci di cogliere la visione d’insieme velocemente come me e nella ricerca di controllo rischio di sopraffare e usare troppa potenza e arrivare insolente, irriverente e offensivo. Non vedo che talvolta la mia vulnerabilità si percepisce.

Se sono un tipo Nove quando comunico cerco inclusione e non mi rendo conto che il mio presentare e considerare numerosi punti di vista incide negativamente sulla mia credibilità e che mi porta a fallire nel rendere reali dei desideri che altri sanno io ho. Rischio di perdermi nella lentezza e in spiegazioni prolungate che portano alla perdita di interesse dell’ascoltatore, in una compiacenza e accondiscendenza che arrivano come mancanza di ascolto e di impegno.

Lo sappiamo bene quanto la buona comunicazione favorisce buone relazioni e considerare questi aspetti del proprio tipo quando interagiamo può facilitare il comprendersi sapendo anche bene che la comunicazione più vera è quella in cui condividiamo noi stessi e non qualche idea che abbiamo di noi stessi o qualche convinzione preconfezionata. Per quei meravigliosi momenti in cui siamo presenti, in cui i cuori si incontrano, quando le parole sono semplici o non c’è bisogno di parole, quando il silenzio è pieno, allora non c’è neppure bisogno dell’Enneagramma. Per tutti gli altri momenti, quelli in cui rischiamo di perderci, o quando cerchiamo di scoprire il perfetto amore nelle nostre imperfette relazioni, in assenza di sfera di cristallo si può scegliere la via dell’unione, quella di comunicare chiaramente ciò che c’è in questo momento.

Maura Amelia Bonanno